Cosa mi ha colpito e cosa no dell’ultimo film di Martin Scorsese.

Questa ultima opera di Martin Scorsese, Killers of the flower moon, presentata in anteprima mondiale e fuori concorso lo scorso 20 maggio 2023 al Festival di Cannes e che ha ricevuto nove minuti di standing ovation da parte del pubblico presente in sala per poi essere distribuita in Italia dal 19 ottobre e in America dal 20 di ottobre sempre del 2023, a me ha suscitato emozioni parecchio contrastanti e in tutta onestà, non sono totalmente in grado di dire se come film mi sia piaciuto oppure no.

Il film scritto dallo stesso Scorsese in collaborazione con lo sceneggiatore Eric Roth, è tratto dal romanzo di David GrannGli assassini della terra rossa” e narra le tristi vicende che la popolazione degli Osage a Fairfax in Oklahoma ha dovuto subire: ci troviamo negli anni venti del secolo scorso e gli Osage divengono improvvisamente il popolo più ricco al mondo grazie alla scoperta di giacimenti di petrolio presenti sulla terra a loro destinata; nonostante questa improvvisa ricchezza, la legge dell’epoca prevede che vengano nominati dei tutori dal tribunale per la gestione del loro denaro e questo perché -gli Osage- erano ritenuti “incompetenti”. Ma c’è dell’altro. Le vere ragioni sono snocciolate lungo tutto il film di Scorsese e sin dalle primissime immagini appaiono assai evidenti e sono le seguenti: l’avidità, l’egoismo, la sete di potere e dominio, nonché un disprezzo e un razzismo verso questa etnia che non ha precedenti.

L’uomo bianco” pur di accaparrarsi queste ricchezze spontanee e che prepotentemente immagina siano solo per sé, ritenendo tutti gli altri inferiori e forse “nemmeno appartenenti al genere umano”, è disposto a tutto e fa raggelare il sangue la battuta interpretata dallo “zio-reWilliam Hale (Robert De Niro) verso suo nipote Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio) che sull’informarsi delle condizioni di salute della giovane moglie nonché nipote acquisita Mollie Kyle (Lily Gladstone) e apprendendo anche che il matrimonio in ogni caso sta andando avanti anche piacevolmente, ecco che sentenzia “Beh, sarà una tua perversione!“.

Dal punto di vista puramente tecnico non ho nulla da ridire, anzi: bellissima la fotografia affidata a Rodrigo Prieto; così come le musiche realizzate da Robbie Robertson o ancora i costumi affidati a Jacqueline West; come anche il montaggio curato da Thelma Schoonmaker; certo forse il tutto -sul piccolo schermo- mi è sembrato parecchio lungo con i suoi 206 minuti e sebbene mi fossi “esaltata” ad inizio film vedendo cartelli richiamanti un cinema che non esiste più e quel veder trasformare il bianco e nero nella vivacità dei colori che portano la storia ad aprirsi e mostrarsi, il non evolversi dei personaggi e un finale che sì mi ha fatto sobbalzare sulla sedia, ma non per lo stupore, mi ha lasciata di sasso e anche un po’ insoddisfatta, come se dopo 3 ore di film mi mancasse qualcosa.

Provo a spiegarmi meglio. Il personaggio di De Niro è il cattivo per eccellenza, un cattivo “puro” e senza remore e cattivo sarà per tutto il film, anzi se possibile peggiorerà anche nel corso della storia (e questo mi sta più che bene, c’è bisogno di un “malvagio da combattere”!); il problema (se così lo vogliamo chiamare) dal mio punto di vista risiede proprio nei personaggi principali di Ernest Burkhart e Mollie Kyle: intendiamoci, recitazioni eccellenti con un Di Caprio in grande spolvero che mi ha riportato alla mente altre sue pregevoli interpretazioni (come ad esempio Gilbert Grape in Buon compleanno Mr.Grape o Teddy Daniels in Shutter Island) e per quanto riguarda Lily Gladstone spero possa aggiudicarsi l’Oscar per la migliore interpretazione femminile (sarebbe la prima volta per un’attrice nativa americana), eppure secondo me, in questi due personaggi non c’è un cambiamento che li faccia evolvere. Ernest appare un inetto dall’inizio alla fine, uno di quelli che si credono furbi e avidi, ma che fanno più danno che niente: è talmente irritante come personaggio che tu spettatore ti chiedi più volte se c’è o ci fa e questo pensiero resta immutato dall’inizio alla fine del film; per quanto riguarda invece Mollie Kyle, Lily Gladstone porta sullo schermo tutto il suo talento e lo si vede benissimo nelle scene della malattia, ma pur intuendo e immaginando cosa stia capitando alla sua famiglia, resta comunque legata a suo marito.

E poi il finale con tanto di cammeo-Scorsese: ho avuto come la sensazione che, dopo 3 ore di film, abbiano tagliato corto per giungere alla chiusura della narrazione con quelle atmosfere alla “Club Silencio” in Mulholland Drive di David Lynch, ma qui di silenzio non c’è proprio nulla dato che il film di Scorsere è un flusso di parole infinito…. insomma, alla fine di tutto mi è sembrato come se il regista avesse voluto dire “il cinema vero lo faccio io e si fa così“. Ribadisco, è senza dubbio un film realizzato tecnicamente bene, la scelta della trama l’ho trovata molto interessante perché storie così non si conoscono e né vengono riportate nei libri di storia, ma alla fine -nonostante la veridicità di ciò che vediamo sullo schermo- mi è mancato qualcosa e non mi ha pienamente soddisfatto.

3 Grazie per il tuo Tempo ed il tuo Amore