(o della focaccia ripiena alle verdure)

Lo scorso anno, in una libreria di zona, trovai l’ultima copia esposta del libro Testimone Inconsapevole di Gianrico Carofiglio. L’opera si presentava ben incellofanata, con tanto di fascetta commemorativa per la 100 ristampa, in edizione speciale a vent’anni dall’esordio dell’avvocato Giudo Guerrieri e con tanto di taccuino omaggio allegato. E che fai non lo prendi? L’ho preso… poi, a causa dei libri impilati sulla scrivania e che aspettavano di essere letti già da un po’, a Carofiglio toccò di aspettare ancora un anno prima di essere letto.

Partiamo da alcuni punti essenziali: di Carofiglio non avevo mai letto nulla prima di quest’opera, anche se sapevo che il suo nome poteva facilmente associarsi al suo più famoso maresciallo Fenoglio e sì, questo era il primo Sellerio che acquistavo dalla morte di Andrea Camilleri.

Altra cosa importantissima: mi auto-definisco “lettrice detective” (un po’ come lo sono tutti i lettori di romanzi gialli e gli appassionati del genere poliziesco, thriller, noire, ecc..) e il perché è molto semplice. A noi lettori di questo specifico genere -e dei suoi relativi sottogeneri- piace intraprendere un’indagine tutta nostra in una sorta di “sfida spietatissima” con l’autore che in quanto onniscente, sa benissimo come andrà a finire e qual è la soluzione del caso ma a noi poco importa, perché quella soddisfazione di “ho risolto il caso, ci sono arrivata da sola senza che me lo dicessi!” è impagabile.

Detto ciò, inizio a leggere il romanzo e percepisco a pelle che vi è un qualcosa che mi innervosisce. Perdonami Carofiglio, non è colpa tua ma del mio modo di agire-leggendo che ho descritto poco sopra. E sì, perché in questa storia non è possibile svolgere un’indagine e di conseguenza il mio cervello esigente ha iniziato a friggere.

Viene presentato il personaggio di Guido Guerrieri e tutta la sua apatia e noia e disinteresse per qualsiasi cosa -vita compresa- ti assale mortalmente. Dopo un po’ viene presentato il caso di cui si occuperà questo avvocato: bambino scomparso, ritrovato morto dopo due giorni e il cui presunto sequestratore e presunto assassino rischia l’ergastolo. Stop. Non viene aggiunto nulla. Niente di niente. E tu lettore speri che magari il personaggio di Guerrieri stia solo tergiversando e che magari dalla metà del libro in poi seminerà qualche indizio per condurre a sua volta un’indagine (in quanti libri succede una cosa simile? Faletti ad esempio è un vero maestro nel disseminare e confondere il lettore facendogli venire la pelle d’oca) e invece no! Nisba! Nada de nada!! E tu lettore-detective soffri perché vuoi scoprire cosa sia successo realmente e chi sia stato soprattutto, ma questa grazia non ti viene concessa e soffri ancora di più perché un libro a metà non hai la forza di lasciarlo, a meno che non sia veramente -ma veramente- brutto e scritto male. Ma non è nemmeno questo il caso, perché tutto si può appuntare a Carofiglio tranne che non sappia scrivere. E già perché il libro è scritto bene, scorrevole (nonostante all’inizio Guerrieri sia davvero insopportabile e da orticaria), la narrazione diventa più ariosa, ritmica ed interessante con l’entrata in scena di Margherita, tutto sommato la scrittura presenta anche punti ironici/sarcastici da non sottovalutare e le parti più “tecniche” ambientate in tribunale con la lettura degli atti, gli interrogatori e le varie arringhe sono molto interessanti.

Ma alla domanda “ti è piaciuto?”, sinceramente non so rispondere. Semplicemente non è il romanzo giallo che mi aspettavo. Il non essere uguale o simile agli altri romanzi di genere presenti sul mercato è senza dubbio una cosa positiva; alla fine anche il narrare dal punto di vista di un avvocato è una cosa interessante da sperimentare, solo che ecco… il detective che è in me non è stato appagato e per il “nervoso” ho realizzato una pizza ripiena di cime di rape, così mi sono sfogata sull’impasto 😉

2 Grazie per il tuo Tempo ed il tuo Amore