Quando il “tocco di Ozpetek” è una carezza per l’anima.

Alla notizia che il film del 2001 Le Fate Ignoranti di Ferzan Ozpetek sarebbe diventato un progetto di serie, mi sono chiesta allarmata “ma perché?!“; nel leggere che sarebbe stata prodotta dalla Disney rimasi ancora più sorpresa.

E sì perché sono dell’avviso che determinate opere non andrebbero toccate: vanno lasciate lì, intatte, nella loro complessa perfezione. Perché il rischio è sempre in agguato: il rischio di rovinare tutto, di banalizzare, di impoverire, di rendere brutto ciò che per un minuzioso lavoro di scrittura o per un preciso stato di Grazia o ancora -se volete- per un inaspettato e sorprendente quadro astrale è assolutamente magnifico, unico, eccellente e per l’appunto perfetto così com’è.

Ma non è questo il caso: primo perché proprio la Disney ha lasciato quella libertà espressiva di cui la suddetta narrazione ha bisogno e poi perché Ferzan è riuscito in una vera e propria “impresa impossibile”: migliorare l’opera e migliorare se stesso.

Il film del 2001 con protagonisti Margherita Buy e Stefano Accorsi fu ed è ancora (più che mai) un’autentica perla. È l’inaspettato che si fa immagine tangibile, è l’incredibile che si fa emozione, è la sorpresa che si fa sentimento.

Il minutaggio “concentrato” del film trascina lo spettatore in un turbinio di situazioni e stati d’animo che lasciano senza fiato. Dramma e conflitto si alternano e rincorrono all’impazzata, sino a quella scena finale, a quel bicchiere intatto… ed è proprio vero:

Che stupidi che siamo, quanti inviti respinti, quante parole non dette, quanti sguardi non ricambiati. Tante volte la vita ci passa accanto e noi non ce ne accorgiamo nemmeno.

Dall’opera del 2001 si sedimentano nello spettatore tante cose, cose che magari ignorava, non conosceva o semplicemente alle quali non aveva mai prestato attenzione. Quelle Fate Ignoranti furono una luce vivida su uno spaccato di vita mai narrato, mai preso in considerazione. E proprio questi nuovi punti di vista, queste nuove possibilità, si portano dietro dei punti interrogativi, dei passaggi rimasti allora insoluti. Ebbene, proprio quelle domande irrisolte, tutti quei “e se…” legati ai personaggi, tutte le supposizioni e le curiosità (queste ultime dettate non da morbosità, ma dall’affetto vero ed empatico che si genera tra lo spettatore ed il personaggio di cui segue le gesta), trovano risolutezza in questo progetto di serie.

L’intelligenza e la maestria di Ferzan consistono nell’aver mantenuto intatta la trama principale, andando però a sviluppare caratteristiche e sfaccettature dei vari personaggi: ad esempio il Michele interpretato da Stefano Accorsi lavorava ai mercati generali, ma possedeva uno spiccato estro artistico, ama il bello ed i libri, in particolare le poesie di Nazim Hikmet, suo poeta preferito…

Dalla tua testa
dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica.
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini.

…il Massimo della serie invece, interpretato da Eduardo Scarpetta, non lavora più ai mercati generali (ad andarci è Luisella, proprietaria di un ortofrutta, incasinata sentimentalmente ed interpretata dall’eccellente Paola Minaccioni), ma è un vero e proprio artista: realizza fondali e scenografie per opere teatrali. La serialità in questo aiuta: il maggior tempo a disposizione dovuto al numero delle puntate, permette di fissare meglio, sviluppare meglio e riservare più spazio a ciò che diversamente nel tempo ristretto del film è stato solo accennato.

In questa serie, in queste 8 puntate (assolutamente ipnotiche) vi è condensata tutta la filmografia ozpetekiana: la luce prorompente di Rosso Istanbul; il passato segreto e personale di Vera e Serra che riaffiora come la storia di Davide/Simone ne La finestra di fronte; i corpi che si svelano come in Hammam-Il bagno turco; le danze leggere e liberatorie in grado di ridare sorrisi e dolcezza nella complicità degli sguardi come nella scena al mare di Mine Vaganti e che qui ritroviamo nei balli in terrazza; e ancora Riccardo e Luciano (rispettivamente Edoardo Purgatori e Filippo Scicchitano) che posseggono in loro tutti gli elementi e le caratteristiche di Arturo ed Alessandro (Stefano AccorsiEdoardo Leo) de La dea fortuna; le congiunzioni astrali, il caso, il drammatico stupore di Saturno Contro e di quest’ultimo riecheggia un ricordo lontano dei titoli di coda anche negli incipit di puntata della serie affidati al Massimo di un impeccabile Luca Argentero. E ancora le musiche e la voce calda di Sezen Aksu, immancabile e irrinunciabile in ogni progetto di Ferzan.

E l’elenco potrebbe continuare e sarebbe lunghissimo. No, non mi sono dimenticata del cibo e delle tavolate e su questo la penso come Ozpetek: solo tramite il frequentarsi, solo tramite la convivialità attorno al cibo, seduti fianco a fianco è l’unico modo per conoscersi realmente, per essere noi stessi senza freni; liberi di condividere anima e pensieri allo stesso modo in cui si condivide il pane ed il vino.

E allora sì: in quel palazzo, in quel condominio, vorrei poter vivere anche io. Vorrei per una volta almeno far parte di un gruppo di persone che -per quanto complesse ed incasinate- non si sono soltanto scelte, ma si sono riconosciute, perché:

Non importa di dov’è, l’importante è com’è.

Nessuno entra invano nella tua vita: o è un dono o è una prova.

Nelle opere di Ferzan Ozpetek vi è ancora un elemento importantissimo e che da quando ho scoperto la sua arte e il suo modo di narrare, non posso fare a meno di notare e apprezzare e che nella mia tesi di laurea (nell’ormai lontano marzo 2013) definii come tocco: Ferzan Ozpetek quando narra e dirige una storia ha il “potere” di trasformare in Amore tutto ciò su cui il suo sguardo si posa. La grazia, la delicatezza, lo sconfinato rispetto per trama e personaggi, fanno sì che tutto appaia allo spettatore come una carezza per l’anima, come un tocco -appunto- lieve, intenso e che riscalda i cuori e questa portentosa magia fa sì che innanzi ai nostri occhi vadano ad evaporare e dissolversi qualsiasi tipologia di etichetta. Non si è più etero, non si è più gay, non più lesbiche, non più queer, non più trans, non più uomo, non più donna… semplicemente Persone con uno sconfinato desiderio di amare e di essere amati e quelle persone siamo tutti noi, sei tu che leggi, sono io che scrivo.

Alle volte le cose possono essere più complesse di come le immaginiamo e in questo la vita ha molta più fantasia di noi. Noi che siamo tutti Ignoranti, ma anche tutti travolgenti come Fate (se solo lo volessimo): abbracciare l’inatteso, l’inaspettato; lasciarsi sorprendere, fidarsi reciprocamente e innamorarsi giorno dopo giorno, attimo dopo attimo non solo di chi ci fa battere il cuore, ma anche e soprattutto degli amici: ché gli amori del cuore possono anche finire, ma l’amore dell’anima è la sfumatura di un bene che si è scelto di condividere e coltivare assieme; al di là dei momenti di incomprensione; al di là delle parole che potrebbero ferire; al di là degli anni che ci separano; al di là di occhi e braccia che si cercano; al di là di fragilità ed insicurezze; al di là addirittura di noi stessi, perché “gli amori impossibili non finiscono mai, sono quelli che durano per sempre” perché l’amore -fra persone che si sono riconosciute e scelte a dispetto di tutto e tutti- è una pianta che (proprio come silenziosamente chiede l’Antonia della splendida Cristiana Capotondi) necessita di costanza, acqua, sole, mani gentili, tempo, spazio e pazienza…

…per quella parte di te che mi manca e non potrò mai avere. Per tutte le volte che mi hai detto non posso, ma anche per quelle che mi hai detto “ritornerò”. Sempre in attesa. Posso chiamare la mia pazienza “Amore”?

6 Grazie per il tuo Tempo ed il tuo Amore