E dimmi, lo sai tu cos’è…

Io amo i libri e amo scrivere, di un amore profondo e oscuro. Ci sono dei momenti quando ho determinate storie fra le mani che “sembro posseduta”. Rido con il libro, parlo con il libro, dialogo con i personaggi come se potessi vederli, come se fossero qui davanti a me e potessi dirgli: “ma che stai facendo?” oppure “senti, io la penso diversamente“. Una pazza insomma, una inadatta al reale e al tempo presente, una affetta -a mia volta- da immaginazione perpetua; soffro di immaginazione incontinente, in uno stimolo continuo.

Ma ho da fare delle scuse. Si, devo scusarmi con Maurizio De Giovanni: non ho mai letto sino ad oggi i suoi libri e sebbene io conosca (grazie agli adattamenti cinematografici) i suoi personaggi Il Commissario Ricciardi, Mina Settembre e I bastardi di Pizzofalcone pur ripromettendomi che avrei letto le sue opere beh, ancora non l’ho fatto. E non l’ho fatto perché ho tante di quelle pile di libri ancora da leggere in questa stanza che altri non ce ne stanno. Bisogna riorganizzare, fare ordine, smaltirlo pure qualche elenco, ma si da il caso che se entro in libreria minimo due o tre libri li prendo, li salvo, li porto via con me, ché i libri è bello anche annusarli, soppesarli, tenerli e sentirli vicino. Perciò De Giovanni mi scusi, ma le prometto che inizierò una nuova pila di libri -questa volta tutta a suo nome- perché se già lo avevo in programma, ora non posso più rimandare. E non posso più rimandare perché ho visto il film Il Silenzio Grande per la regia di Alessandro Gassmann, anzi, l’ho rivisto.

È tratto dall’omonimo testo teatrale di De Giovanni e alla prima visione ero completamente paralizzata, ipnotizzata, affatata da tutto, certo ho pianto come una dannata, ma posso dire che un’opera tanto bella e struggente non la vedevo da tanto, troppo tempo.

Ho dovuto rivederla dopo pochi giorni perché quella luce calda e particolarissima su Massimiliano Gallo (mi inchino umilmente innanzi alla sua interpretazione), la polvere che ricopre ogni cosa e che la Bettina di Marina Confalone cerca di tenere a bada, il tutto unito dalle visioni del personaggio principale, mi sono rimaste appiccicate addosso. Totalmente avvinghiate!

Nel rivederla sono emersi tutti quei particolari che alla prima visione avrebbero dovuto suggerirmi determinate cose riguardo la situazione che i personaggi stavano vivendo e soprattutto le sorti che il protagonista Valerio Primic -celebre scrittore- stava attraversando. Ma anziché raccogliere tutti questi segni disseminati in mimica e battute, ho preferito tralasciare ogni cosa per godermi il Teatro con la T maiuscola. Sì perché questo flm, questa storia (sapientemente realizzata da Alessandro Gassmann), è Teatro allo stato puro: immenso, reale, con grandissimi picchi di riso e di pianto, un Teatro dove non c’è bisogno di urlare per narrare la tragedia degli eventi, un Teatro dove si recita anche e soprattutto con il corpo. Lo definirei un Teatro da tradizione eduardiana che tanto Massimiliano Gallo tanto Marina Confalone ne sono i degni eredi e rappresentanti.

Anche tutti gli altri interpreti (la moglie Rose: Margherita Buy; la figlia Adele: Antonia Fotaras; il figlio Massimiliano: Emanuele Linfatti e Luca: Roberto De Francesco) sono assolutamente perfetti e calzanti e dirò di più: con la seconda visione le loro interpretazioni prive del contatto visivo (che durante la prima fruizione non avevo notato perché incantata dal turbinio dei dialoghi) col protagonista, vanno a sottolineare ancora di più quel confine sottilissimo tra verità e finzione, contatto e distanza. E allora, alla fine di questa mia doppia visione, mi rendo conto che anche io dispongo i libri nell’ordine che utilizza Valerio Primic per omogeneità emotiva, e non ad esempio per genere o per colore.

Ciò che emerge è questo suggerimento a prestare ascolto alla realtà del quotidiano che abitiamo e a tal proposito segnalo due brevi dialoghi che mi hanno molto colpita, il primo fra Primic e Bettina, il secondo fra Primic e Adele:

P.: Hai trovato tracce di indigenza?
B.: No, io ho pulito ovunque!
P.: Che c'entra?! Sto dicendo: indigenza, ristrettezze economiche?
B.: Ristrettezze economiche no, povertà si!

V.: Non è la realtà che ti crea dei modelli nella testa e nel cuore
P.: E allora che cos'è?
V.: È la fantasia!

Io non so concludere la frase lasciata a metà da Valerio Primic

E dimmi, lo sai tu cos’è…

ma so che in questa opera si parla di Vita, di Realtà, di Felicità, di Silenzio e per non rischiare di rimanere sospesi nelle azioni e nelle decisioni come Valerio e Bettina fra stanzetta e studio inquadrati dall’alto, le cose -anche se sono dure e potrebbero farci male- è meglio dirsele sempre in faccia, senza farci frenare dalle omissioni dei silenzi piccoli che con il tempo si accumulano e si ingigantiscono divenendo un silenzio grande che fa paura a sentirlo. Magari ci saranno piccole fratture o addirittura allontanamenti, ché la vita si sa è un gran casino, ma il bene quello vero, quello che supera distanza e dimensioni, quello resta e ritorna sempre facendo rifiorire ogni cosa.

5 Grazie per il tuo Tempo ed il tuo Amore