(articolo del 2016)

L’ennesimo lavoro prodotto dalla Marvel è giunto finalmente nelle sale cinematografiche e a quanto pare, Captain America: Civil War, non sta tradendo le aspettative, tanto del pubblico quanto della critica. Per gli appassionati del genere, scontri, dialoghi dalle battute ironiche e quel fascino dato dall’idea di poter avere delle qualità fuori dal comune certo non mancano in questa realizzazione dei fratelli Russo, nonostante a tratti possa risultare anche un po’ scontato e poco brillante, al punto da rasentare la noia.

Non troverete qui degli spoiler, ma ciò che più di tutto ha attratto la nostra attenzione: è l’esatta analisi della quotidianità nella quale siamo immersi e che qui viene ben resa dall’evoluzione della stessa trama che, quanto più va a ridursi al minimo di risposte accettabili e credibili, tanto più va riempendosi di mancanze.

A mancare sono le certezze che facevano sentirci al sicuro: sempre più spesso i governi appaiono dubbiosi, accumulano bugie e mezze verità, come se non fossero più in grado di badare a loro stessi, alle loro genti, ai loro figli.

A mancare è il coraggio o meglio, l’essere maturi abbastanza da assumersi le proprie responsabilità. E invece, cosa accade? Come ci comportiamo? Puntiamo il dito l’uno contro l’altro perché -nel dubbio- è meglio seguire la voce più potente, incolpare, uccidere (in senso figurato e non), anziché fermarci anche solo per un attimo e porci e porre domande, ascoltare, forse comprendere, inseguire la verità, interrogarci su chi siamo.

A mancare è il noi, sopraffatto sempre più dall’io anche per le motivazioni più futili. Quasi come non ci fosse altra strada se non mettersi l’uno contro l’altro. E allora non esistono più amici, fratelli, non esistono più buoni o cattivi di questa o quella nazione, si è tutti della stessa manifattura: simili nella paura, nel timore.

Questo mondo multietnico, sempre connesso e contemporaneamente vicinissimo e lontanissimo -a seconda dell’evento particolare che si vive e che ci mette o dovrebbe metterci in empatia gli uni agli altri- pone innanzi ad uno specchio l’umanità che lo compone.

È un’umanità quasi alla deriva, che pretende di aver ragione alterando o celando, a volte, la realtà stessa. Sembrerebbe un quadro apocalittico nel quale regna il caos e non vi è nessuno spiraglio possibile di speranza ed in parte è così, finché non fanno la loro comparsa: uno sguardo incantato, una genuina spontaneità, un candore quasi puerile, quella speranza che credevamo svanita.

Allora è anche questo che fanno i film come Civil War? Non sono soltanto semplici prodotti commerciali, ma esortano -in maniera velata- a riconoscersi e riconoscerci, a perseguire la giustezza di un ideale e a credere in quell’ideale con slancio sempre nuovo e giovane.
E allora, dovremmo ricordarci più spesso di essere nel nostro piccolo Peter Parker, anche perché

finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace

(La rabbia – Pier Paolo Pasolini).

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