Avete presente il film del 1971 “Arancia meccanica” di Kubrick? In modo particolare la scena del “trattamento Ludovico“? Bene, alle volte mi piacerebbe prendere da parte determinate persone -amici per lo più, che vedono tutto nero o hanno smarrito qualsiasi tipologia di fiducia nell’umano e nel mondo- e trattarli allo stesso modo in cui viene trattato il personaggio di Alex: solo che invece di obbligarli alla visione di immagini di violenza per indurli allo schifo, “somministrerei” i capolavori Disney in loop!

Forse sarebbe un trattamento ancora più estremo, chissà, eppure proprio la Disney mi riporta alla mente un insegnamento importantissimo e fondamentale che il mio prof di sceneggiatura mi ripeteva spesso:
Mariangela, ricorda: qualsiasi cosa accadrà ai tuoi personaggi -anche la più terribile- la speranza, che non è lieto fine, deve esserci sempre!

Un concetto del genere è comprensibile solo dopo molta pratica e solo dopo che si è compreso che speranza non è per forza il “tutti felici e contenti”, bensì è sfumatura, è colore, è un lieve bagliore, è un particolare impercettibile, è un bisbiglio, è perdere tutto eppure trovare il perché dell’andare avanti; speranza è ancora credere quando tutti gli altri ti danno per pazzo e ripetono di lasciar perdere; speranza è dover morire per poter rinascere. Tutte queste sfumature sono contenute nell’ultimo lavoro Disney: Raya e l’ultimo Drago.

Il film della dalla durata di 107 minuti, rilasciato sulla piattaforma Disney+, realizzato da Don Hall, Carlos Lopez Estrada, Paul Briggs, John Ripa con la sceneggiatura di Qui Nguyen e Adele Lim, vede la piccola Raya addestrata da suo padre re Benja affinché protegga la Gemma Drago. Ma andiamo con ordine… Le vicende e gli accadimenti avvengono nel prospero regno di Kumandra, dove uomini e draghi vivono in armonia finché il tutto non viene minacciato dai Druun; tutto si sgretola e frantuma, anche Kumandra che si spezzetta nelle regioni di Coda, Artiglio, Dorso, Zanna e Cuore.

Cosa accade ovviamente non ve lo dico, lo dovete vedere, ma per capire come si diffonde la luce della speranza è necessario comprendere cosa sono e quali sono le sue ombre, le sue tenebre in questa storia e rappresentate dai Druun. Visti superficialmente questi non sono altro che spiriti maligni sottoforma di inquietanti nubi violacee che pietrificano tutto ciò che incontrano sul loro cammino. Un po’ quello che accadeva nel film “La storia infinita” con il Nulla che avanzava e distruggeva ogni cosa, ma in questo lungometraggio d’animazione gli autori si spingono ben oltre.

Non è questo un semplice film per bambini, io lo farei vedere molto di più agli adulti (sempre più spesso le opere Disney e Disney-Pixar trattano argomentazioni complesse dove a restare interdetti spesso e volentieri sono proprio i genitori, gli adulti: si veda ad esempio Inside Out dove si esplora la psiche, le emozioni, gli stati d’animo e i ricordi o l’ultimo premio oscar Soul dove si tratta la tematica affatto semplice della morte e della vita dopo la morte). Proprio gli adulti, presi dalle loro vite frenetiche e dal loro essere sopraffatti dai tormenti, dalle questioni non chiarite, dai desideri più torbidi, dal “divertirsi” nel veder fallire i propri simili e dalla smania di successo e potere -il tutto ben condito da invidie e rancori sottaciuti- ecco che “ammalano” ogni cosa -vivente e non vivente- senza poi essere in grado di capirne realmente la ragione.

Basterebbe uno sguardo puro, votato con forza all’impossibile affinché ogni cosa possa divenire possibile, in modo che ogni crepa come su porcellana possa nuovamente saldarsi, cosicché ogni sforzo possa trasformarsi ancora una volta dall’Io al Noi, di modo che le porte possano aprirsi di nuovo all’accoglienza senza esitazione alcuna, in un tutto armonico.

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