Il mondo è una commedia che imbestialir mi fa. Io non trovo dunque che bassa adulazione, ingiustizia, interesse, furberia, tradigione”.

Così recita parte di una battuta della scena I atto I, affidata al personaggio Arcandro (altri non è che Alceste) nella traduzione del maggio 1876 de Il Misantropo affidata a Riccardo Castelvecchio. Il testo di Molière vede la sua prima messa in scena al Palais-Royal il 4 giugno 1667 con le musiche di Jean-Baptiste Lully. Il Misantropo -commedia in 5 atti- parla delle situazioni in cui il protagonista Alceste si viene a trovare e di come il suo amico Filinto tenta di consigliarlo e di calmare i suoi bruschi impeti. Alceste nella scena II atto I e nella scena IV atto III, si definisce

«[…] son burbero ma schietto, parlo poco ma chiaro […] io son uomo misantropo, sono una specie d’orso. Ho il vizio o la virtù, come chiamarsi si vuole, di non saper mentire, di usar franche parole […]».

Le caratteristiche e i significati intrinseci citati ad apertura di articolo (attraverso le tre battute di Arcandro/Alceste), vengono mantenuti in toto nella trasposizione cinematografica del testo di Molière –Alceste à bicyclette” nel titolo originale francese, “Molière in bicicletta” nella traduzione italiana- realizzata dal regista, sceneggiatore e attore francese Philippe Le Guay. l’autore francese si può dire che non sbaglia un colpo: dopo “Il costo della vita” e “Le donne del 6° piano”, non solo realizza una commedia leggera ed intensa al contempo, ma affidandosi ancora una volta all’interpretazione dell’amico attore Fabrice Luchini, egli dona ancor più scioltezza e musicalità al testo di Molière, sempre più attuale in questa lettura e visione di Le Guay. Il film (giunto nelle sale italiane il 12 dicembre 2013 e distribuito da TeodoraFilm) vede fra gli altri interpreti Lambert Wilson, Maya Sansa, Laurice Bordesoules e Camille Japy.

Così come l’Alceste che decide di ritirarsi dalla vita pubblica, Serge Tanneur -interpretato da Luchini- è un uomo che conduce una vita appartata e sembra non sentire il distacco dal palcoscenico (dal quale si è ritirato e non ha alcuna intenzione di ritornarvi, nemmeno se a chiederglielo sia Spielberg in persona!).

Dopo alcune prove del testo di Molière, Serge accetta la proposta dell’amico Gauthier Valance che dopo alcuni anni di successi televisivi, ha pensato a lui per esordire a teatro. Ed ecco che le vicende di Alceste e Filinto si staccano dalle pagine perfettamente memorizzate e si fanno vita concreta nella quotidianità che Serge e Gauthier conducono.

E proprio come nell’intento seicentesco del drammaturgo francese, il Misantropo interpretato da Luchini appare sì burbero e diretto, ma come afferma Francesca -il personaggio portato sullo schermo da Maya Sansa- l’Alceste è un puro che avvolto da un candore quasi puerile, non può far a meno di essere schietto sino al limite del possibile. Finanche ad apparire sgarbato per la troppa franchezza, per la troppa sincerità.

Essendo spinto dalla spontaneità sincera dei suoi pensieri, il personaggio, preferisce una vita solitaria pur di non scendere a compromessi: «…io vissi e morrò scapolo…» (come si afferma nella scena II atto IV del testo di Molière) oppure com’è possibile ascoltare al minuto 20:17 della pellicola “non voglio un posto in un cuore corrotto”.

Il personaggio appare con questo suo modo d’agire, freddo e distaccato, ma è capace ugualmente di grandi slanci sentimentali e di grandi struggimenti dell’animo, che lo rendono fragile ed indifeso innanzi all’evolversi degli eventi come ogni essere umano.

E se da un lato l’Alceste -rispondendo per le rime all’amico Filinto, il quale afferma ch’egli “ormai detesta l’umana natura”- asserisce che quest’ultima sia una “spaventosa sciagura”, dall’altro ecco il personaggio di Luchini che ripetendo la stessa battuta di Alceste, volge il suo sguardo candido verso un tramonto sul mare, dove la sua purezza può adattarsi solo con ed in una natura incontaminata.

E se nella pellicola si ribadisce che “è dalle piccole cose che si vede un grande attore”, è dalle piccole e semplici decisioni che si differenzia un amico sincero dall’occasionale opportunista.

Semplici e fondamentali sono anche le scelte intraprese da Le Guay: dalla luce quasi naturale adoperata, che ricalca la “fanciullezza” ed il candore di Alceste; al montaggio preciso e senza fronzoli; alla scelta delle musiche (da “Il mondo” di Jimmy Fontana a “À bicyclette” nella versione di Yves Montand) che rendono il testo ancor più coinvolgente, avviluppando lo spettatore in un vortice di ritmo.

Un film questo “Molière in bicicletta” di Le Guay da vedere e consigliare, lasciandosi guidare dalla musicalità di gesti e parole. Che il nostro bistrattato cinema italiano, debba volgere lo sguardo ai cugini francesi?

Se per loro è possibile fare cultura ed allo stesso tempo far riflettere -unendo Teatro e Cinema- riuscendo ad ottenere opere lievi ed intense, perché la patria del Melodramma, del Neorealismo e della Commedia all’italiana, è sempre più spesso impantanata in prodotti inclassificabili (non tutti i prodotti italiani sono così, fortunatamente) ed avvezzi solo al guadagno?

Se non avviene (fra tutte le cose da cambiare e/o modificare) anche un’ «educazione» del pubblico che va in sala rispetto i prodotti che gli si offre, certo il pubblico non può chiedere la visione e la realizzazione di prodotti altri, non sapendo che è possibile realizzarli anche in Italia, perché i mezzi e soprattutto le potenzialità esistono. Confidando nelle nuove generazioni di autori e registi, consoliamoci con prodotti come questo, perché il bello è ancora realizzabile e possibile.

 

Trailer ufficiale:

 

 

 

0