Sono quasi le due del mattino e non riesco ad addormentarmi. Di solito cado in un sonno di piombo all’istante, ma questa volta no. Saranno i pensieri; questo mio porre perché mai del tutto soddisfatti dalle risposte; questo riflettere su comportamenti che lasciano il tempo che trovano o ancora provare sympatheia per quella delusione, quel dolore, quell’amarezza che è possibile leggere in precisi occhi.
Sarà per tutto questo e forse anche per qualcosa d’altro, ma fatto sta che finché Morfeo non si deciderà a farmi visita, ripenso alla giornata che ho vissuto e mi soffermo sulle parole ascoltate. Già, le parole. Come le usiamo? Quali usiamo? Che uso ne facciamo?
 
Alla prima domanda la risposta, almeno per me, è: male! E si, perché l’uomo che sempre più spesso si sofferma sulle futilità, sul superficiale, non è più in grado di ragionare, di avere un pensiero critico, di esprimersi con sincerità senza condizionamenti. E se non sa più ragionare, non sa nemmeno parlare e viceversa. Non si parla più perché non si studia più, non si legge più, non ci si pone più in ascolto verso l’altro. E così facendo siamo diventati totalmente incapaci al confronto pacato e rispettoso; quando parliamo ormai, parliamo male sia dal punto di vista puramente grammaticale che dal punto di vista del “modo” in cui si parla: la maggior parte delle parole che vengono pronunciate giornalmente non sono altro che commenti aspri, frecciatine offensive più o meno velate, cattiverie gratuite… Le parole sono poi legate indissolubilmente a varie forme di linguaggio. Faccio alcuni esempi pratici legati a visioni e letture fatte in questo ultimo periodo:
 
  • The Falcon and the Winter Soldier – miniserie tv Marvel rilasciata sulla piattaforma Disney+ dal 19 marzo 2021 al 23 aprile 2021, 6 puntate. Per chi non fosse avvezzo alle narrazioni del multiverso, la breve sinossi parziale (per non fare spoiler) è questa:  il mondo è orfano di Capitan America, il disordine regna sovrano e i potenti della Terra intraprendono scelte scellerate riguardo tutte le persone ricomparse dopo la sconfitta di Thanos.
Roba per ragazzini e nerd appassionati di fumetti, direte voi. No, non è così. I linguaggi utilizzati sono i più disparati: conflittuale; doppiogiochista; violento e aggressivo quello corporeo e poi la svolta con la presa di coscienza e la consapevolezza di sé: ciò accade solo quando guardandoci allo specchio il nostro riflesso finalmente ci assomiglierà e così Backy è in grado di far crollare tutte le barriere che aveva costruito e Sam può così scegliere di portare un “peso” che è divenuto “dolce”, di cui andar fieri, essere orgogliosi perché “faro” e “simbolo” di un qualcosa di ben più grande, in grado di andare oltre.
 
Bellissimo il suo monologo finale incentrato sul perché?, bellissimo e talmente attuale da far venire la pelle d’oca. I potenti delle Terra, chi decide o meno dei “salvataggi” in mare, chi si occupa delle migrazioni dovrebbe vedere questo lavoro Marvel, perché va ben oltre il semplice costume a stelle e strisce e ben oltre qualsiasi superpotere.
 
  • Hello, Dolly! – musical del 1969, regia di Gene Kelly con Barbara Streisand e Walter Matthau. Amo Gene Kelly, perdutamente! Ecco, se dovessi identificarmi con un genere cinematografico sceglierei il musical (nonostante la mia “sensualità” nei movimenti sia simile ad un cipresso!): colore acceso da togliere il fiato, battute incalzanti, sorrisi, voci indelebili, ma soprattutto corpo.
Il corpo parla, ha un linguaggio tutto suo e comunica e manda segnali ancor prima di aprire bocca, ancor prima di “azionare il cervello”. Forse non ce ne rendiamo conto, ma il parlare silenzioso dei corpi, dei gesti, della mimica andrebbe scoperto e riscoperto di continuo perché è immediato, senza filtri… ma chi oggi è ancora in grado di cogliere questi messaggi, di notare queste “parole silenziose e invisibili”?
 
  • Conversazione in Sicilia – romanzo di Elio Vittorini, 1941. Per via di alcuni lavori che sto portando avanti, ancora non sono riuscita a completare questa lettura e al momento sono solo a metà. Al di là del linguaggio narrativo-metaforico, ciò che colpisce è proprio l’uso che Vittorini fa delle parole.
Quello proposto in queste pagine è un linguaggio reiterato, ripetuto, anche con insistenza, che stordisce. A leggere queste pagine ad alta voce si ha come l’impressione di “leggere sempre la stessa cosa”, insomma un linguaggio in loop, bloccato e fossilizzato in uno spazio-tempo dal quale è quasi impossibile riemergere e distaccarsi. Nonostante sia un romanzo del 1941, non è antico e lontano l’uso della parola che viene mostrato: come vi dicevo sto portando avanti due lavori (di stampo documentaristico) ebbene, ho notato/sto notando che oggi si parla ancora come se fossimo nel 1941 (!).
 
Non so se questo sia dovuto al fatto che in questi paesini lontani da tutto e tutti il linguaggio risulta essere ancora un linguaggio antico, arcaico, fatto di infiniti vuoti e pause, dove si sbaglia -ancora- a pronunciare plurali e singolari, dove si ha difficoltà ad esprimere concetti in frasi minime compiute, dove il soggetto espresso non trova quasi mai a seguire una giusta coniugazione verbale o se più semplicemente non si sa parlare perché non si studia e l’incompiutezza culturale è più o meno colpevole o ancora, tutte queste cose assieme.
 
Fatto sta, che non sappiamo parlare ma pretendiamo di essere capiti, compresi, assecondati, di aver ragione, di essere migliori su tutto e tutti e che sono sempre gli altri ad essere in difetto nei nostri confronti. Bisognerebbe fare un passo indietro e aprire qualche libro in più e come una nota pubblicità recita in questo periodo, dato che le parole hanno un peso specifico non da poco, bisognerebbe riscoprire “la grammatica della gentilezza: per favore, grazie, prego, scusa“, che sono tutte parole basilari, parole importanti.
 

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