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Chi segue il mio blog di recensioni sa bene che una cosa che proprio non mi piace fare é raccontare le trame delle storie che leggo o visiono. E questo non per fare la “snob”, ma per incuriosirvi in qualche modo e sperare che di quella storia andiate a ricercare voi stessi e possiate farla propria, anche perché le trame e le sinossi sono sì uniche, ma le interpretazioni ed i punti di vista sono infiniti. Ciascuno di noi con la propria preparazione e la propria sensibilità andrà ad aggiungere o a togliere qualcosa all’opera, rendendo quest’ultima sempre nuova e sempre diversa seppur identica solo a se stessa nella sostanza. Ed è proprio questo il “superpotere” che amo di più delle storie: quello di essere cangianti, camaleontiche eppure fedeli solo a se stesse.
‟Si dici che in democrazia l’uomo è libbiro. Davvero? E come la mittemo se la machina non gli parti, se il tilefono non gli funziona, se gli ammancano la luci, l’acqua, il gas, se il computer, la tilevisioni, il frigorifiro s’arrefutano di servirlo? Volemo diri meglio che l’uomo è sì libbiro ma di una libbirtà condizionata dipinnenti dalla volontà delle cosi di cui oramà non può cchiù fari a meno.
Terza ed ultima motivazione sul perché questa storia -almeno secondo me- rimarrà a lungo su carta (forse per sempre) è che più si dipana la matassa della narrazione, più si ha la certezza di avere a che fare non con Montalbano, bensì con una «pillicola miricana». E sì, perché in realtà il Commissariato di Vigata, i suoi personaggi da Teatro classico, la Sicilia stessa, l’avvicendarsi delle situazioni tragicomiche, le atmosfere, lo stesso Salvo Montalbano ci arrivano come ovattati quasi irriconoscibili; un «velo malincuniuso assà» avvolge tutto e il tutto ci arriva da lontano, da una distanza dalla quale all’inizio fatichiamo a mettere bene a fuoco ciò che abbiamo davanti e sottomano, quasi in controluce e fioca come «la mimoria gli tornava, ma splapita come pò essiri la luci di un lumino nella notti». E a soccorrere Montalbano e i lettori stessi questa volta non ci sono l’aria di mari che rapra i purmuna e l’acqua di mari a puliziare l’anima a mò di purificazione per le lordure viste e forse -anche- commesse.
Il tutto sembra fare da “contorno” ad un qualcosa di più grande; si subisce senza possibilità d’azione e lo stesso Salvo ed i suoi uomini ne sono vittime e ne pagano le conseguenze divenendo pedine di un “gioco” più grande di loro. A poco a poco però inizia a riemergere l’acuta intelligenza, l’arguzia, la sagacia che da sempre caratterizzano le pagine di Andrea. E allora, nonostante le vecchiaglie e la “stanchezza fisiologica”, ecco che li riconosciamo tutti i personaggi che abbiamo imparato ad amare con tutte le loro imperfezioni e ci riconosciamo proprio in quei difetti e dettagli che in realtà sono anche i nostri. La fascetta editoriale a corredo del volume definisce questa storia come «Montalbano più avventuroso che mai»: è vero considerata la sua età (e qui, sul tema dell’età immaginiamo un Salvo incazzato, perché lui è e sarà sempre giovane, nonostante i dati anagrafici)!
Queste 247 pagine non sono adatte per il piccolo schermo, ma necessiterebbero delle grandi produzioni internazionali, dei grandi festival del Cinema dove presentare un Montalbano in stile “007” o “Mission: Impossible” del tutto inedito, rocambolesco e sorprendente e sebbene sia una trama che viene da lontano, ci insegna e ricorda una cosa fondamentale: fidarsi non solo del proprio istinto, ma affidarsi totalmente ai propri amici ché se i parenti non possiamo sceglierceli, la famiglia vera invece si.
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