Amo Ozpetek, credo che ormai lo sappiate, infatti non è un caso che la seconda intestazione di questo blog sia proprio una citazione tratta da un suo film (Mine Vaganti, per essere precisi).
Ebbene, la sua ultima opera La Dea Fortuna -giunta nelle sale il 19 dicembre 2019- nonostante il mio amore per lui, non ero ancora riuscita a vederla. Vuoi perché abitare in un borgo sperduto senza una sala cinematografica complica -e di molto- passioni ricerche e visioni e vuoi anche perché non mi sentivo pronta. Psicologicamente pronta.
Ogni suo lavoro è per me “trauma” e cura assieme. Così preferisco visionare il tutto quando il fragore degli altri tace. In questo caso, riuscire a visionare un film quando tutto é fermo causa pandemia e questo “tempo lento” in realtà é più simile a “carboni accesi sotto uno spesso strato di cenere”, ha reso la fruizione ancora più amplificata.
L’addentrarsi nella storia coincide con l’addentrarsi in un appartamento, che tramuta il suo sfarzo in terrore e non possono non tornare alla mente le pareti dolorose di Cuore Sacro o l’avanzare notturno fra le stanze e le foto nella casa di Un giorno perfetto, dove ad aleggiare e ad avvolgere tutto vi é l’angoscia per quello che era e più non sarà. E come la memoria talvolta sovrasta e confonde i ricordi, ecco che una supplica disperata si tramuta in vociare festoso con un sapiente cambio non soltanto di registro narrativo (dalle atmosfere dark quasi horror, al melodramma con inserti comici), ma anche adoperando con maestria il più tecnico raccordo sonoro.
Non mancano la terrazza e i dolci, ormai diventati una sorta di firma del regista, ma ecco che lo spettatore subito viene condotto al nocciolo del primo conflitto dalla risata agra e smorzata di Alessandro e dallo sguardo ferito e deluso di Arturo.
Alessandro (interpretato in maniera sublime da un eccellente Edoardo Leo) appare sin da subito come prorompente, alle volte un po’ rude, ma in realtà nasconde tutt’altra anima e di lui vorremmo sapere tutto, vorremmo conoscerlo, averlo per amico e complice, con lui é semplice empatizzare perché è solare, ha gli occhi buoni e perché rappresenta perfettamente quegli incontri speciali dove avverti subito -a pelle- che di quella persona puoi fidarti ciecamente.
Arturo é interpretato da Stefano Accorsi sempre impeccabile, ma qui si mostra un po’ troppo macchinoso e rigido, però c’è da dire che a richiedere tutto ciò erano le caratteristiche stesse del personaggio: ferito si, ma decisamente geloso e per varie motivazioni insoddisfatto.
Come nel turbinio stesso della vita, non si fa in tempo a conoscere i protagonisti ed ecco che fanno il loro ingresso in scena gli imprevisti e la Dea Fortuna: Martina, Alessandro (Sandro) ed Annamaria.
Da qui in poi la narrazione procede come sui binari delle montagne russe: attimi di quiete e ritrovata serenità si alternano a fiammate devastanti, picchi autodistruttivi generati -forse- da troppi anni di parole perdute e comportamenti dati per scontato perché divenuti abitudine. E ci si accorge che non può essere altrimenti, perché la vita stessa é una montagna russa che quotidianamente regala alternanze anche di stati d’animo, incomprensioni e gioie. La cosa che colpisce più di ogni altra in questa opera é il cambio di prospettiva, di sguardo: il ritornare a guardarsi negli occhi di Alessandro e Arturo -come non capitava da tempo ormai- ecco che si abbassa, prende coscienza di se e in questa nuova dimensione nella quale per Fortuna o solo per volere del Caso o del Fato, ecco che ci si rende conto che le cose importanti, le priorità vere, le responsabilità sono ben altre. La giusta altezza dello sguardo é a misura di bambino e a questa altezza che fa abbassare, rimpicciolire, ecco che tutto ridiventa enorme, gigante, sovrastante. Solo cambiando sguardo é possibile ritrovare e riscoprire meraviglia ed incanto. E così ci si ritrova come innanzi ad uno specchio. dove ogni azione ne riflette un’altra perfettamente speculare che ci ridesta dal torpore come una doccia d’acqua gelata. Si commettono errori é vero, ma chi non ne fa? In fondo, l’uomo non nasce genitore (alcuni, pure procreando non lo saranno mai) si é solo figli, figli che devono capire come crescere assieme e prendersi cura l’uno dell’altra.
Solo quando capiremo tutto questo, riusciremo anche a comprendere che al di là dei legami di sangue, la famiglia è quella che ci scegliamo, quella dove siamo amati, dove tutti restano e non va via nessuno perché si é complementari e come un’istantanea indelebile le persone care ci scivoleranno dentro sino all’anima.
É un film che indaga non solo gli angoli di un rapporto spigoloso ma non irrisolvibile, ma é questa un’opera stracolma di amore, di tatto, di delicatezza e profondamente intrisa dal significato dall’avverbio insieme.
Nota a margine: l’interpretazione di Filippo Nigro é davvero da pelle d’oca; i brani Luna diamante della coppia Mina-Fossati e Che vita meravigliosa (vincitrice del David di Donatello) di Diodato sono davvero degli autentici gioielli.
Trailer ufficiale:

2 Grazie per il tuo Tempo ed il tuo Amore