Per chi come me si occupa di “scrivere storie”, questo tempo sospeso che stiamo vivendo, questo tempo lento, inizia a diventare snervante, anche se proviamo a non darlo a vedere. Certo, immagino sia così per tutti, specialmente per chi non è più abituato a vivere la casa (a patto di avercela una casa!)… però, chi scrive storie passa la sua vita sempre sull’orlo del baratro, dell’incognita costante, dell’imprevisto minaccioso. Eterni indecisi che sanno tutto su come mandare avanti -su carta- trame e conflitti, ma che nella vita reale fanno solo casini e/o si arrovellano ponendosi domande in continuazione, con il timore costante di dare fastidio, di disturbare. Ciò che mantiene vigili e reattivi la categoria degli autori (che sono più simili ad “animali fantastici” che abitano gli angoli in ombra delle stanze e dei viali alberati) sono le date di scadenza: bandi di scrittura a cui partecipare instancabili, collaboratori dalle idee super confuse da dover sbrogliare, lavori su commissione e pareri dell’ultimo minuto che necessitano di soluzioni fulminee e geniali… insomma, cose così… qualche anno fa, una persona con la quale collaboravo, dopo l’ennesima interminabile e contraddittoria telefonata serale mi fa:

“ parlare con uno Sceneggiatore come te, è meglio che andare dallo psicologo!

Avrò mica sbagliato mestiere?! Fatto sta, che alla fine ogni cosa è andata al suo posto (poco importa se quel lavoro alla fine non ha visto la luce), ma ora? Ora che è tutto così dilatato, quasi fermo, immobile, sospeso e irreale, che fare? Già abbiamo poche certezze di natura, adesso, meno che mai. E così, ciabattanti per casa, avanziamo svogliati verso quel particolare che possa farci scattare la scintilla creatrice o magari, regalarci un sorriso ora che di sorrisi ne avremmo bisogno, ma non possiamo vederli. E così, ci sorprendiamo nel renderci conto che ci manca l’ascoltare il suono di una determinata voce; che quella cosa che ci dava fastidio fare forse era utile; che la condizione di recluso per cause di forza maggiore va ad amplificare quella solitudine da sempre a noi congeniale e necessaria, ma che inevitabilmente è anche la nostra debolezza più grande. E allora ci scopriamo curiosi di tutto: si moltiplicano le passioni, oltre ad amplificarsi i pensieri e riaffiorano atavici desideri che -non ricordi più perché- avevi provato a nascondere. Ad esempio: io volevo fare l’astronauta! Beh, in realtà vorrei farlo ancora… vedere le cose da lassù e poi narrarle: perché la Nasa o l’ESA non abbiano mai pensato sino ad ora a reclutare autori, non lo so ma credo che sarebbe utile: uno scienziato narra e descrive il tutto in maniera magari semplice sì, ma pur sempre scientifico… e messa la scienza da parte, chi si preoccuperà di raccontare tutto il resto?
 
Quando è stata annunciata la missione Mars2020, la Nasa -per ringraziare fan e sostenitori- ha creato un vero e proprio “modulo d’imbarco“: avviavi la richiesta, loro rilasciavano il biglietto viaggio e il tuo nome (almeno quello!) sarebbe partito. Qualche giorno fa è giunta la notizia che le persone “imbarcate” per Marte sono la bellezza di 10.932.295 ed i loro nomi sono stati incisi su tre chip grandi quanto un’unghia e saldati ufficialmente sul rover Perseverance, robot di superficie diretto sul Pianeta Rosso. Insomma, ho fatto prima ad “andare su Marte” che vincere l’Oscar… chi lo avrebbe mai detto!!! Di “Perseveranza” parla anche un film che ho visionato qualche sera fa e che ho aggiunto a questa lista: Troop Zero, che vede protagonisti un gruppo di bambini con particolari abilità e non importa se si viene scherniti, derisi, pesantemente presi in giro, non creduti alle storie narrate e considerati addirittura meno di zero, ma insistendo, rimanendo coerenti con se stessi e non abbandonando i propri sogni, ecco che le distanze (anche quelle apparentemente invalicabili) non esistono più, si può essere vicinissimi e fluttuare, come onde nello Spazio.
 
 
 
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