Nani da giardino, provvedimenti divini e bustine richiudibili.

 
 
Io sono un “assassino”. No, non fraintendetemi: non sono stata in carcere e non ho ucciso nessuno. Però, sono un assassino. Un assassino di libri. E dei peggiori tra l’altro, perché non agisco sul momento in preda ad un raptus, ma ogni azione è ben ponderata.
 
Acquisto libri che delle volte divoro con grande avidità e alle volte, li tengo lì, in ostaggio sul comodino per qualche tempo. E poi, zac!! Vado di pastelli o di inchiostri dalle tonalità calde a sottolineare i passaggi per me più importanti o significativi e a bordo pagina -in matita- appunto il significato di un nuovo termine. Come se non bastasse sono anche maniacale: uso il righello, come se pastelli o inchiostro non fossero abbastanza. Ma, come ogni assassino ho delle regole -come dire- uno status deontologico: non piego gli angoli delle pagine; non uso le alette anteriori o posteriori delle copertine come segnalibro; non faccio “scrocchiare” il libro rischiando di far staccare le pagine dalla costina; non lo maltratto sgualcendolo e mai e poi mai sottolineo un Sellerio; mai e poi mai e poi mai e poi mai sottolineo o scrivo su di un Andrea Camilleri in Sellerio.
 
Non me ne vogliano le altre case editrici e gli altri autori, ma il Maestro unito ai “libri in blu” ha da sempre suscitato in me la stessa venerazione che un “mago del tempo” riserva sulla scoperta di un nuovo incantesimo o che un religioso infonde nell’atto della preghiera.
Così, i miei libri blu del Maestro, sono praticamente intonsi e addirittura, per preservarli in qualche modo dall’avanzare del tempo, ogni volume è riposto in una di quelle bustine richiudibili. Ok, l’ultimo passaggio è seriamente da psycho-killer, ma questo è!
 
Lo scorso anno entrai in una piccola libreria di paese con un’arcigna signorina alla cassa: non mi sentii a mio agio ed anche i libri sulle mensole mi parvero tristi e incupiti. Acquistai Il cuoco dell’Alcyon: un’altra avventura per il Commissario Montalbano. Uscii sollevata da quel posto: avevo “salvato” un altro libro dalla polvere di una libreria un po’ triste. Era quello per me un periodo frenetico, quindi mi promisi di leggere quel libro sì, ma non subito, c’era da aspettare qualche tempo. E poi la triste notizia. “Il cuoco dell’Alcyon” è ancora lì, che aspetta; aspetta questo mio “elaborare il lutto”, ma prima o poi lo leggerò.
Perché se hai iniziato a leggere Andrea Camilleri all’età di 8 anni e adesso di anni ne hai 32 e hai praticamente letto quasi tutte le sue opere (dai gialli ai racconti di vita teatrale, dai romanzi storico-civili alle biografie romanzate, ecc..), a mancarti non è solo il tuo autore preferito, a mancarti non è solo il Maestro (in svariati ambiti artistici), ma a mancare è anche e soprattutto uno di famiglia.
 
E così, assugliata da na gran bumma malincuniusa assà, dopo mesi ho ripreso un Camilleri fra le mani: si tratta del monologo teatrale Autodifesa di Caino, la prima opera pubblicata postuma. Ed anche la tonalità del blu di questo Sellerio -blu carta da zucchero- sembra voler “addolcire” l’assenza della Sua voce.
Il monologo è racchiuso in un volumetto di scarse 80 pagine. Ma la brevità dell’opera non deve affatto ingannarci: sono queste pagine dense di racconti e ricchissime di citazioni. La voce roca del Maestro a poco a poco affiora limpida e puntuale e come ogni grande contastorie, non lascia nulla al caso e/o all’approssimazione.
 
Per fare le cose per bene, il racconto prende il via non da un inizio qualsiasi, bensì “dal Principio”! Ed essere definiti come i “nanetti del giardino” di Dio, è al contempo ilare (per l’immagine generata), teneramente puerile (come quando da bambini giocavamo fra i vasi delle piante sul balcone facendo spuntare fra rami e fiori ogni tipo di giocattolo pronto a vivere nuove avventure) e poetico (perché ogni atto creativo custodisce in sé amore e poesia).
 
Più ci si addentra nella lettura e più ci si rende conto che la diversità delle versioni presentate e l’approfondire i punti di vista ed i pensieri convoglianti tutti sullo stesso protagonista, sono quanto di più attuale, struggente e doloroso l’uomo possa apprendere. La figura di Caino ci viene presentata come “creatrice della società moderna“, che a tante invenzioni liete ha dato i natali. Eppure, portati come siamo a dimenticare troppo in fretta il male, una domanda riecheggia ossessiva: cos’è il male? Molto probabilmente è una parte inscindibile da noi dato che «è insito in noi nell’attimo stesso in cui veniamo al mondo». E sebbene Caino viene indicato come colui che per primo ha attuato il male, quest’ultimo ne risulta come un simbolo necessario perché senza il male appunto, non riusciremmo a comprendere e a compiere il bene.
 
Questo libricino, piccolo sì ma con un peso specifico non indifferente, viene offerto a noi -come una profezia di Tiresia– e ci pone di fronte al dono più importante, il dono della libertà di scelta e azione: l’uomo che dovrebbe vivere nel rispetto reciproco e praticare l’accoglienza come imperativo categorico, attraverso la conoscenza di noi stessi può e deve assolvere al suo impegno: fare le giuste scelte.
 
Particolarmente significativo, toccante e più che mai attuale (per via delle drammatiche immagini dei profughi siriani che ci giungono dal confine Grecia-Turchia) è il brano di Elie Wiesel -premio Nobel per la Pace- citato alle pagine 37 e 38:
 

Abele non si muove. Non fa niente per consolare il fratello, né niente per divertirlo, per calmarlo. Lui, che è responsabile della prostrazione di Caino, non fa niente per aiutarlo. Non si duole di niente, non dice niente. É semplicemente assente, sta lì, senza esserci realmente. Sogna senza dubbio mondi migliori, cose sacre. Caino gli parla e lui non ascolta. O ascolta, ma non sente. Ecco in cosa Abele è colpevole. Di fronte alla sofferenza, di fronte alla solitudine, nessuno ha il diritto di nascondersi, di non vedere. Di fronte all’ingiustizia, nessuno deve voltarsi dall’altra parte. Chi soffre ha la precedenza su tutto. La sua sofferenza gli dà un diritto di priorità su di voi. Quando qualcuno piange -e questo qualcuno non siete voi- ha dei diritti su di voi, anche se il suo dolore gli è stato inflitto dal vostro Dio comune.

Parole queste pesanti come macigni, parole che urlano, pertanto: fermatevi e riflettete, secondo coscienza.

 

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