La carezza di un destino.

1° articolo di questo 2020. 1° film da me analizzato di questo decennio che va ad iniziare. Come scritto più volte in questo blog -andando a specificare il perché del nome che gli ho dato- qui si parla di ciò che quotidianamente mi salva e senza ombra di dubbio, la primissima cosa a salvarmi è il Cinema.
Scrivo, scrivo tanto -forse troppo, chissà- e in attesa che prima o poi le mie storie se ne vadano in giro da sole, autonome e fiere, scriverò delle storie degli altri.
Sono riuscita finalmente a recuperare l’opera Dolor y Gloria del regista Pedro Almodóvar, interpretato da Antonio Banderas e distribuito dalla Warner Bros.
Ho visionato buona parte della filmografia di Almodóvar e ciò che da subito mi colpisce  delle sue opere è il colore. Qui abbiamo colori vivi, brillanti, prepotenti, quasi sfacciati ed irreali eppure colori pieni, netti, ché le ombre e le sfumature appartengono a “regni” intermedi dell’essere e non bastano per tracciare un unico e solo profilo di uno stesso individuo.
Il testo è magnifico: vuole essere un autobiografico tassellato da quella sottilissima ironia mista a lucido sarcasmo che lo rendono un testo vivo, partecipato, guizzante. Non mi sentivo così partecipe verso le sorti di un protagonista da molti, molti anni. Antonio Banderas è assolutamente perfetto nel ruolo di Salvador Mallo: regista di fama internazionale che si ritrova a  dovere vivere ed affrontare una fase di prolungato stallo, sia per le molteplici problematiche fisiche che vanno ad accumularsi e non gli danno tregua, sia per le difficoltà psicologiche che non sembrano mostrare requie nei suoi confronti.
Come recita una canzone del 2017 “lo sai che una ferita si chiude e dentro non si vede / che cosa ti aspettavi da grande, non è tardi per ricominciare” ¹ : sebbene il testo della canzone si riferisca a tutt’altra tipologia di racconto, trovo questi due versi azzeccati e aderentissimi alla trama di Almodóvar: in effetti, quotidianamente l’uomo affronta piccoli e grandi dolori, alle volte fisici ma anche dolori più profondi radicati talmente tanto in noi da trasformarsi in psicofisici. E allora -in qualche modo- bisogna fare i conti con noi stessi, finanche toccare il fondo se questo può aiutarci a risalire a galla, riconciliarci col mondo, ritornare alla gloria.
Bellissimi i confronti del protagonista/regista Salvador Mallo e l’attore Alberto Crespo (interpretato anche qui magnificamente da Asier Etxeandía): un rapporto di amore/odio eppure basato su di una lucida stima, al di là della azioni compiute, che culminerà nel monologo “Adiccion / Dipendenza“. E se più volte viene ripetuto che “l’amore non basta“, è pur certo che la verità risiede nel suo sottinteso contrario: “è l’amore quello che ci salva“.
Dal punto di vista del linguaggio cinematografico (chi ha letto i miei precedenti articoli lo sa), non prediligo determinate scelte tecniche come ad esempio l’uso indiscriminato dei flashback, ma in questo lavoro, Almodóvar ne fa un uso meraviglioso! I flashback che scorrono sotto gli occhi dello spettatore sono assolutamente necessari per il prosieguo della narrazione ed anzi, il regista riesce addirittura ad elevarli ad un livello superiore. Ciò a cui assiste lo spettatore non è una successione di flashback fine a se stessi, bensì divengono metacinema: è questo un cinema che si mostra e che parla di sé, senza timore alcuno di mostrare debolezze, difficoltà, tribolazioni, continuo rimuginio, ma anche passioni, incessante ricerca del bello, sconfinato amore.
A dir poco sublimi i raccordi sonori e i raccordi d’immagini (canzoni / pianoforte / mani) che ben legano senza stacco alcuno le immagini e i salti temporali posti in apertura d’opera.
Come un destino scritto chissà dove e chissà da chi, tutto è collegato, tutto torna e questo Dolor y Gloria è una carezza che fa bene all’anima.
¹  brano “Vietato Morire” di Ermal Meta, contenuto nell’album “Vietato Morire” del 2017
 

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