Ritorno a scrivere su questo mio blog dopo quasi due mesi di assenza e per questa mia sparizione momentanea mi scuso, ma alle volte quel “Mi salvi chi può” (che da il nome a questo mio “pensatoio” ricco proprio di tutte quelle cose che mi salvano) dipende solo da noi e pertanto -alle volte- una pausa può rivelarsi positiva, necessaria, salvifica.
 
Ero a cena e mentre ripulivo per bene pietanze e piatti, al telegiornale iniziarono a raccontare una storia che mi ha molto colpita. È la storia di Emily Zamourka, di origini russe, ex violinista e pianista classica che -per varie vicissitudini- finisce in disgrazia e si ritrova a vivere da clochard nella grande e forse troppo sfarzosa Los Angeles. La particolarità di questa storia è che Emily è stata ripresa da un poliziotto -in metropolitana- mentre intona l’aria “Oh mio babbino caro” tratta dall’opera Gianni Schicchi di Giacomo Puccini.
 
 
Emily con il poliziotto che ha realizzato il video (Emily Zamourka performance)
 
 
Esattamente come il poliziotto che l’ha immortalata, non si può fare altro che rimanere ipnotizzati, rapiti dalla sua voce limpida, chiara e angelica, al contempo virtuosa e dolce. Ed avviene la magia: il tempo è come se diventasse sospeso, come una bolla ricca di sfumature e ci si dimentica delle precarie condizioni di vita, di quelle codine bionde sbilenche, di quel carrello colmo di quelle poche essenziali ed umili cose. Tutto è Armonia, tutto è Grazia.
 
Il video è diventato subito virale e mi ha riportato alla mente il titolo di un film che faceva capolino da un po’ di tempo sulla mia lista “film da recuperare”. E così, finalmente, ho deciso di vederlo. Il film in questione è Il Solista (The Soloist) opera del 2009 diretta da Joe Wright e interpretato da Robert Downey Jr (per il quale ho una vera e propria passione, lo confesso) e Jamie Foxx; l’opera è tratta dall’omonimo romanzo di Steve Lopez pubblicato nel 2008 e giunto in Italia grazie alla casa editrice Rizzoli. La narrazione si basa sulla vera storia dell’incontro tra Nathaniel Ayers (musicista senzatetto affetto da schizofrenia) e Steve Lopez, giornalista del Los Angeles Times.
 
 
 
 
Anche questa è una storia vera, anche questa racconta di un incontro del tutto fortuito. Certo fra il romanzo e l’opera cinematografica vi sono delle differenze (riguardanti soprattutto la vita privata del giornalista), tutto ciò lascia inalterata la potenza dell’incontro prima e del legame poi che va a crearsi fra il giornalista Steve Lopez e il signor Nathaniel Ayers.
 
Siamo sempre affannosamente e disperatamente alla ricerca di qualcosa che valga la pena di essere raccontato o scoperto, tanto che ci dimentichiamo totalmente di abbassare lo sguardo verso un orizzonte più umano e osservare attorno a noi i dettagli. E così, dietro un angolo, all’ombra di un marciapiede, fra i sottopassaggi della metro o -come in questo caso- dietro la statua di Beethoven, vi sono storie, vi sono esistenze e strade che forse si sono smarrite, che non sanno come fare per chiedere aiuto o che necessitano solamente che qualcuno stringa loro la mano con rispetto -da pari a pari- con amicizia sincera (cosa assai inusuale e irreale in un mondo sempre più competitivo e affamato) per ritrovarsi come musica in tutto questo caos.
 
Nathaniel non ha un carattere facile per via delle paranoie, delle ossessioni e della schizofrenia che lo caratterizzano e pertanto appare come un “puro”, senza filtri, estraniato e lontanissimo da tutto il resto. Lo Steve cinematografico ci appare come un uomo “bloccato” in un presente con fin troppe poche gioie (sia lavorative che sentimentali) e che cerca -a sua volta- di voltare pagina, di ripartire, cercando un motivo, una ragione, uno stimolo, una curiosità, una storia per la quale valga la pena d’uscire dallo stallo; una storia che per quanto s’impunti nel buttarci giù e scoraggiarci, tanto più si rinforza e ci leghi a sé, divenendo un qualcosa che con fatica e con incondizionata fiducia, ci collega gli uni agli altri.
 
Steve -ad un certo punto della narrazione- viene definito da Nathaniel come “suo Dio“. L’affermazione spaventa e terrorizza Steve: non vuole essere il Dio di Nathaniel; vorrebbe solo saperlo guarito, finalmente fuori da una vita precaria e indigente, lontano da Skid Row (la zona più degradata di Los Angeles), al sicuro in una abitazione il più possibile decorosa e pulita, finalmente in grado di riappropriarsi della sua vita, di ritrovare la strada smarrita per la Juilliard School (celebre accademia musicale). Ma cos’è esattamente un Dio?
 
Nelle religioni è una figura che viene adorata come eterna, come essere supremo dotato di personalità e doti immortali e stando a queste caratteristiche, un Dio è quanto di più lontano e distante dall’uomo (così imperfetto e dalle doti spesso e volentieri discutibili). Quindi come si può essere un Dio per qualcuno?
 
Un “Dio” a mio avviso, è qualcuno che riesce a destarci da un torpore atavico e che ci tende una mano quando non lo farebbe nessuno; un Dio è qualcuno che c’è, è con noi anche quando vorrebbe trovarsi esattamente nel luogo opposto al nostro; un Dio è chi “combatte” per entrambe le parti; un appiglio; chi ci ricollega con noi stessi e col mondo; un Dio è in grado di percepire il nostro talento, la nostra grazia; un Dio è colui che inginocchiandosi si pone in ascolto senza la pretesa di parlare; un Dio è un Amico -sincero- che non vuole nulla in cambio; che è tanto più in connessione con noi quanto più siamo disabituati all’empatia; un Amico è chi non fa qualcosa per noi, ma con noi e gioisce della nostra gioia.
 
Ha ragione il poliziotto che ha incontrato Emily Zamourka in metropolitana: dovremmo fermarci ad ascoltare qualcosa di stupendo, lasciarci stupire ed io auguro a tutti di

essere capaci di trovare la consapevolezza e l’amore che dovrebbe avere un Dio che guarda. *

 Il Solista – trailer
 
 
 
 
citazione tratta da Il Grigio – Questi assurdi spostamenti del cuore di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, ed. Einaudi Stile Libero.
 
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