Quando il 12 aprile 2019 si tramuta in un “Natale” anticipato donandoci parecchie sorprese.

 
La mattinata inizia molto presto, si sente fermento nell’aria e una leggera agitazione. I fan e gli amanti della musica hanno più che ragione. E se fuori diluvia, non c’è niente di meglio che rimanere sotto le coperte e far partire spotify prima e youtube poi.
 
Clicco play sul nuovo singolo di Andrea Vigentini Come va a finire.
 
 
Avevamo lasciato Vigentini alle selezioni per Sanremo 2019 (e sinceramente è stato un peccato non poterlo vedere su quel palco) e più di recente nella tappa di Trezzo sull’Adda: “assaggio” di ciò che sarà il forum di Milano il prossimo 20 aprile che vedrà Ermal Meta salutare -momentaneamente- i suoi estimatori. La foto scelta per presentare il singolo ha un retrogusto un po’ retrò, di quei provini che si incidevano su quel nastro facile ad incepparsi. Ma Vigentini non si inceppa affatto: la sua voce sempre limpida e chiara, cattura l’ascoltatore accompagnandolo lungo un testo fortemente radiofonico. E se gli amori “sono eterni finché durano”, forse la soluzione per rinnovare il sentimento e riscoprirlo nuovo lo troviamo proprio fra i versi di questo testo:

non ci rimane che partire / guardarci meglio da altre prospettive.

In attesa di novità sul suo album, sono certa che il brano non deluda le aspettative di quanti lo attendevano. Così come non ha affatto deluso le aspettative il 10° album in studio di Fabrizio Moro, Figli di nessuno.

 

L’ascolto mi ha decisamente spiazzata. Se dovessi scegliere un solo termine per definirlo, mi verrebbe da dire: ricco. Non solo ricco di parole che sono state scelte con cura e vengono srotolate con maestria, evidenziando il grande talento e il grande spessore di cui la scrittura di Moro è intrisa. Ma ricco soprattutto di sonorità e fra le più disparate, realizzando un mix tale che sorprende e rende difficile lo scegliere un singolo testo preferito sulle 12 tracce proposte.

É un album manifesto questo, fortemente ispirato, che narra di amori, di storie e di Storia. Un album questo Figli di nessuno che ripercorre sentimenti fra un passato recente e un presente da costruire e che lascia quesiti e speranze positive, come i versi che ho scelto (da ogni singolo testo e che qui vi elenco al posto della tracklist), che meglio di ogni altra parola ci regalano il senso di questo lavoro:

sentirsi dire merda, smetti, smetti, smetti / di fare quello che fai 

crescere non è facile

ma una ferita ci lascia sbalorditi

a un passo da domani / cosa rende umani?

Col piede sul confine fra ciò che sono oggi e come sono stato

da imperfetto mi ha reso adatto.

Devi essere all’altezza dei tuoi sogni e della meta

la mano pulita disegna il futuro

un minuto, un’età

io ci provo gusto

e tu sei sempre qui a salvarmi da me stesso.

Altro lavoro che mi ha sorpresa lungo la mattinata, è stata la pubblicazione del video ufficiale del singolo Ercole di Ermal Meta, contenuto all’interno dell’album Non abbiamo armi – il concerto e realizzato dal regista Mauro Russo.

Già durante la diffusione della sola traccia audio, questo testo creò scompiglio. Alcuni/e addirittura si preoccuparono del fatto: “ma dov’è finito il Meta che abbiamo ascoltato negli ultimi tre anni?”. Ermal Meta oltre che ad un ottimo autore e musicista è, soprattutto, un amante dello sperimentare. Un curioso insaziabile che possiede delle armi incredibili: l’ironia e l’autoironia. Armi queste che forse emergono maggiormente durante i suoi live, per questo è probabile che per fuoriuscire da questo brano, serva un po’ di tempo in più. Ma gli scettici di Ercole possono stare tranquilli: non troviamo un nuovo Meta, ma ritroviamo un Ermal a 360° che ancora una volta si mette a nudo, tralasciando intuire un nuovo aspetto di sé.

 
 

Il video è un piccolo gioiellino filmico di 3:21 min, caratterizzato da un senso estetico molto elevato (merito anche dello stylist Fabio Mercurio: forse lui sì, avrà dovuto affrontare le fatiche di Ercole, per poter regalare al brano un senso aggiuntivo, a metà strada fra l’etereo e il metafisico).

Brano e video vanno di pari passo e possiedono un’unica lettura: l’interpretazione ironica che proprio Ermal Meta cercava di suggerire in alcune recenti interviste. Ironia che emerge non soltanto in passaggi quali

È per sempre finché non è finita / Se fossi Ercole A lasciarti andare farei una gran fatica

ma quest’ironia -lievemente malinconica all’inizio e più consapevole e grintosa sul finale- “esplode” in tutta la sua “prepotenza”: la donna gigante ad inizio brano sul finale appare invece piccola, quasi minuscola come a perdersi tra la folla; quel sentirsi “spalle al muro” diviene energia cinetica / movimento / nuova vita (espressa anche dai ghirigori scelti fra parete e camicia); la quasi ieraticità che si fa schiocco di dita, ghigno e sguardo verso un nuovo orizzonte diverso dal piano su cui sono poste le ragazze. Ciò che mi ha lasciato questo lavoro è un “sorriso”: sorriso che lascia intravedere novità, nuove pagine e altri viaggi da affrontare, con quell’auto che ad inizio brano -in qualche modo- riprende un Ritorno al futuro di certo ancora più stimolante e denso di quanto il recente passato non sia stato.

 

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