Ci sono narrazioni che dopo essere state lette hanno bisogno di sedimentarsi, di essere assimilate nella loro interezza. E questa assimilazione non ha una durata ben precisa. Così è stato per La Bastarda di Istanbul di Elif Shafak: dopo aver letto questo romanzo di 385 pagine edito dalla bestBur Rizzoli, ho avuto bisogno di alcuni giorni per “digerirlo”.

 

La scrittura scorre senza mai incepparsi e più il pathos aumenta, più sembra che il tempo impresso sulle pagine rallenti, per far sì che al lettore giunca tutta la tensione, l’adrenalina, il batticuore e lo stato d’animo che i personaggi vivono in quel preciso momento. Fra queste pagine che sanno di frutta secca e sfumature dolciastre, le storie vanno a fondersi con la Storia.

Ci si addentra in questo bazar che è Istanbul; con le sue strade caotiche (con o senza pioggia); con i suoi colori; con le voci alte e musicali dei venditori e dei muezzin; con il profumo della cucina che pervade ogni cosa; con le sue esagerazioni ed i suoi silenzi.

I personaggi che tessono le fila di questa narrazione corale, sono in prevalenza donne (di tutte le età) e non è un caso: a differenza degli uomini, le donne sono molto più forti e determinate, anche se in principio sembrano non esserne coscienti.

Superficialmente ci si alterna su cosa o chi è buono o cattivo; su cosa va o non va fatto; su chi ha o non ha le colpe; poi le protagoniste Asya e Armanoush -ragazze coetanee, in bilico e incomplete come il resto delle storie, della Storia– iniziano a domandarsi l’una chi sia suo padre e l’altra quale sia la sua vera storia. E dall’essere incomplete e frammentarie, pian piano tutto acquista senso ed ogni tassello va al suo posto come in un puzzle ben architettato e allora (e solo allora), si potrà comprendere che in fondo e per vie sottilissime intessute chissà da chi e quando, tutti siamo collegati e tutti siamo uguali molto più di quanto possiamo immaginare e la nostra storia personale, possiamo iniziare a ricamarla dal momento in cui riconosciamo le nostre radici e siamo in grado di decidere se accettarne passivamente il normale corso o se iniziare nuove pagine con uno sguardo nuovo.

 

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